2025-10-26

RECENSIONE IN ANTEPRIMA "Khalvat" di Lorenzo Foltran

Bentornati nel fantastico mondo de Lamiavitasonoilibri!

Qual è la frase d'amore più vera? Quella che esprime al massimo il sentimento?
Tutti sono soliti rispondere grandi cose.
Lorenzo Foltran, ne raccoglie alcune all'interno della sua raccolta poetica, in uscita oggi, Khalvat.


LA COPERTINA



LA TRAMA

Khalvat è un termine persiano che significa "isolamento" o "rifugio" e indica il raccoglimento interiore tipico della tradizione sufi.

Perfetto per una raccolta di poesie che guida il lettore in un intimo viaggio.

La prima parte esplora antichi temi d’amore e spiritualità, lontani dal tempo e dalla materialità. La seconda riflette sul legame amoroso che sfida il tempo, mentre l'ultima parte ci immerge in un mondo liquido, dove il naufrago esplora i confini tra passato, presente e futuro.


IL LIBRO

Titolo: Khalvat

Autore: Lorenzo Foltran

Editore: Graphe.it edizioni

Pagine: 78

Edizione cartacea: 12,00

Edizione digitale: 7,49

Genere: poesia


LA RECENSIONE

Khalvat è un viaggio sensoriale scandito dapprima dal susseguirsi di albe e tramonti, unici segnali del tempo che passa mentre si è sospesi, incantati e sognanti, seguito poi dal furioso ticchettio delle lancette dell'orologio che, avvicinandosi, riporta alla realtà, per giungere al capolinea in una lenta agonia, in trappola sott'acqua, dove l'unico rumore in grado di oltrepassare la superficie è quello dei propri ricordi.

Quando ci si innamora, ci si isola con la persona amata, deliziandosi di quell'intima solitudine, dove il mondo esterno sembra essere un pianeta lontano e ancora sconosciuto.

Il contorno sfuma nella moltitudine di colori, dopo aver visto in bianco e nero per quel che è parsa un'eternità.
Un'eternità che si è consapevoli di non possedere, che tuttavia appare all'orizzonte, solo se percorso mano nella mano.

Ogni piccolo gesto acquisisce l'importanza che merita da sempre, giorno dopo giorno, per il semplice fatto di poterlo compiere ancora e ancora, simbolo di rinascita dopo aver vissuto come automi, in cerca del proprio ingranaggio mancante.

Una coreografia improvvisata sulle note di una musica che solo i due ballerini odono...fino a quando le lancette dell'orologio non la sovrastano.

L'essere finito è una consapevolezza che prima o poi torna a farsi sentire, gettando nell'ombra qualsiasi sfumatura di colore.
Ombra che non appartiene alla figura amata.

Quando ci si tuffa completamente in qualcosa, per un frangente si ha la sensazione di essere sospesi a metri di altezza, fermi nel tempo, fino a che non si finisce completamente ed inevitabilmente sommersi e l'impatto con l'acqua apre nuovamente ferite in via di guarigione.

Il mare si richiude e ci si ritrova ad affrontare la propria tempesta, quella interiore e non vi è alcun salvatore, al di fuori di se stessi, nonostante quell'ombra lontana in superficie sembrasse un salvagente, da afferrare e tenere stretto.

Una volta compreso il controsenso dell'essere uomo e in quanto tale, solo e fragile, la clessidra torna sottosopra e i ricordi vengono a galla, mischiandosi con ciò che pare appartenere al presente e poi al futuro.

Fino a che è possibile, il respiro viene trattenuto per tenere lo sguardo sull'abisso, nella speranza che faccia meno paura della superficie.


NEL LIBRO

"Butto la pasta" vuol dire "ti amo".
"E' pronto" "lo prometto".

Per piegare il lenzuolo coniugale 
con simmetria perfetta in camera
in camera mettiamo in scena i passi
di un balletto moderno.
In questo pas de deux improvvisato
sul palco della stanza,
ci affidiamo la cura della piega
l'un l'altra con fiducia.
E se ogni tanto i bordi non combaciano
poco importa perché
il lenzuolo una volta ripiegato
sul letto si dispiega. 


Volgo le spalle al muro senza porta.
Ho atteso invano che qualcuno aprisse.
Resto, anche se ho le carte, potenziale.
Ma non si tratta d'esser nella lista, di mostrare la tessera o l'invito.
Non si sale dal basso fino in cima.
Nella fortezza si entra, ma dall'alto.
Ho scavato, ho graffiato la parete, ho inciso nella calce per lasciare, accartocciato, il foglio tra i mattoni per quando della rocca nel deserto non resterà altro che un muro del pianto.


LA MIA OPINIONE

Lorenzo Foltran penetra la mente del lettore, infestandone gli angoli più bui e sedimentari, smuovendo il caos che ci si ostina a tenere a bada, là dove si è convinti non possa fare rumore.

Quando tutto pare ormai essere confinato nell'ombra, ecco che una luce si accende, rivelando parole che si ha necessità di vedere, leggere, pronunciare ad alta voce e fare proprie.

Non importa in quale parte della raccolta poetica si sia effettivamente nello spazio tempo reale, perché prima o poi ci si ritrova a viverle tutte.

Da inguaribile romantica ho adorato la prima parte, l'innamoramento che isola dal mondo.
Allo stesso tempo ho esplorato il dolore della seconda parte, un'infinità di volte, quando il sentimento non basta ad allontanare le intromissioni del mondo esterno, che si fatica a tenere lontano e, inconsciamente, mi ritrovo intrappolata nell'abisso della terza ed ultima, quando ci si lascia annegare, avvolti dalla consapevolezza che la fine è l'inevitabile epilogo di ogni incipit.
L'inizio, dopotutto, non è altro che l'epilogo se si capovolge la clessidra.

Lorenzo Foltran esplora la sovrapposizione dello spazio tempo, accompagnando il lettore mano nella mano, per guidarlo fin dove è giusto che si ritrovi, a respirare a pieni polmoni o a trattenere il fiato, per poi tornare a respirare.


IL MIO GIUDIZIO


Alla prossima recensione! (:


Mancano due mesi a Natale
e se la prima lettura natalizia di quest'anno fosse
 un nuovo libro di Asia Pichierri?
Shhh, non posso ancora dirvi nulla...fino al 15 Novembre!

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